Gabriele Simongini - giovannabenzi

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GABRIELE SIMONGINI
Critico d'arte

“La natura, ovunque io guardassi,
era animata, il cielo, le nuvole…”
[Emil Nolde]

Jean-Luc Nancy ha scritto che spesso le immagini pittoriche giungono dal cielo: traggono la loro forza dal firmamento, dalla “volta fissa a cui sono attaccati gli astri che dispensano il loro splendore”; l’immagine dipinta ha “un’essenza celeste e contiene in sé il cielo (…), non ne discende, ma ne procede (…), trabocca e si espande in esso, come le risonanze di un accordo”. Al di là del valore ampiamente metaforico di queste riflessioni, senza dubbio si avverte che nel processo di elaborazione delle opere di Giovanna Benzi è successo qualcosa del genere, una sorta di travaso e di osmosi fra cielo e pittura, perlomeno nei quadri più intensi e riusciti dell’artista. Così in questi giorni di clausura forzata, di “arresti domiciliari” dovuti all’emergenza epidemica di cui non si conosce in realtà la vera fine, i quadri della Benzi sembrano ancora più necessari per darci respiro e conforto perché portano letteralmente il “cielo in una stanza”, per parafrasare l’indimenticabile canzone di Gino Paoli. In queste vedute che diventano visioni l’assenza dell’uomo ci porta in una dimensione senza tempo, eterna, finalmente libera da quel “presentismo” che ci ossessiona, con l’immersione in una “verità” naturale originaria, in un’energia primaria, in modi simili a come la intese quel sublime pittore anche di cieli, mari e nuvole che fu Emil Nolde: “Tutto ciò che si riferiva all’ambito primitivo continuava ad incatenare la mia mente. Il muggito del mare in tempesta è ancora così come alle origini, il vento, il sole e in fondo anche il cielo stellato, sono così come erano cinquantamila anni fa”. E Giovanna Benzi con la sua pittura rivela di avere un’anima atmosferica (per parafrasare Roberto Tassi, essa è “la fusione tra psiche e natura, in cui l›infinito naturale e l’infinito psichico si sovrappongono”), sensibile alla mobile fluidità delle emozioni e della natura, che diventano tutt’uno nei suoi quadri innervati da un incanto poetico e dalla capacità di stupirsi di fronte all’inesauribile bellezza del mondo. Proprio per questo la nostra artista inietta una dose sensibile di emozioni in opere che vanno ben oltre qualsiasi pratica tipica del disegno scientifico, tanto che torna alla mente il rifiuto che uno dei più sublimi pittori di cieli di tutti i tempi, ovvero Caspar David Friedrich, oppose a Goethe quando il suo geniale estimatore gli propose di illustrare con i suoi disegni un trattato sulle nuvole. Per Friedrich, infatti, le nuvole non erano oggetti di studio scientifico ma spirituale, tramite la pittura. E senza dubbio, mutatis mutandis, Giovanna Benzi potrebbe ben condividere questa opinione, come del resto dimostrano le sue opere fondate sulla stabilità dell’instabile, in cui l’infinito è incluso nel finito, l’invisibile reso manifesto dal visibile. Questi quadri fanno venire alla mente anche un bel libro come “Il tempo invecchia in fretta” di Antonio Tabucchi, nel suo alternarsi di cieli e d’aria, e in particolare il racconto “Nuvole”, fondato sul colloquio tra Isabel e un ufficiale italiano che è stato impegnato “in un’operazione bellica di pace” in Kossovo, dove ha subito le radiazioni dell’uranio impoverito e che insegna alla ragazza la “nefelomanzia”, l’arte di indovinare il futuro analizzando la forma delle nuvole. Sì, perché forse il cielo può rispondere a qualsiasi domanda.
Una delle intuizioni più poetiche di Giovanna Benzi è quella di aver dato immagine al dialogo e all’affinità fra alberi (gli intermediari fra terra e cielo, diceva Tagore) e nuvole, come si vede bene, solo per fare due esempi, in “L’albero verso il cielo” e soprattutto in “Si parlano”.
È, questa, un’affinità osmotica che ha ispirato pagine ben degne di nota a Gilles Clement - paesaggista, giardiniere e scrittore – nel libro “Nuvole”, diario di bordo tenuto durante una traversata atlantica a bordo di un cargo da Le Havre, in Francia, a Valparaiso in Cile, dal 18 settembre al 18 ottobre 2004, in cui l’autore affronta le relazioni che intercorrono tra la flora, i paesaggi e il cielo con le sue nuvole, in una sorta di armoniosa unità che “ricopre il pianeta con un unico slancio, assicurandoci di una realtà ancora vacillante per la ragione: Gaia, la terra, la nostra dimora, funziona come un solo e unico essere vivente. I paesaggi ricevono la luce e la vita in forma di pioggia, a partire da questo ambiente attivo inafferrabile e brillante, l’acqua nell’aria, le nuvole”. E così l’albero, con la sua apparente immobilità e la nuvola, con la sua metamorfica mobilità, finiscono col partecipare alla stessa natura.
Utilizzando al meglio l’acquorea e trasparente fluidità dell’acquerello, Giovanna Benzi offre alcune fra le sue prove migliori proprio con questa tecnica che le permette di avvicinarsi “materialmente/immaterialmente” a quella ipnotica unità d’aria e d’acqua che costituisce l’essenza delle nuvole. E sono così leggeri questi fogli che potremmo anche chiamarli “ariarelli”, invece che acquarelli, anche perché ci danno un immenso respiro pur con le loro piccole dimensioni. Del resto, oggi guardare e dipingere con tale purezza il cielo e le nuvole è un atto coraggioso e quasi rivoluzionario che ci porta a riflettere per contrasto sulla folle superbia di noi esseri umani capaci di condizionare negativamente l’equilibrio della Terra tanto da intitolarci l’era attuale chiamandola “Antropocene” anche se i sociologi più aggiornati parlano addirittura di “Capitalocene”, col dominio tirannico del capitalismo tecnologico e della speculazione finanziaria. E per fortuna da queste vedute/visioni quasi angeliche il cosiddetto homo sapiens è tenuto lontano come un intruso pericoloso, proprio per sottolineare con la sua assenza anche la sua negatività. Così, tutte le opere della Benzi ci insegnano a guardare verso il cielo, ad elevarci, a volare alto, a sognare di essere migliori. Sono inviti ad una sorta di perfezionamento etico attraverso la contemplazione della natura e a tal proposito vengono alla mente le parole conclusive di Kant nella “Critica della ragion pratica”: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”.
© Friarte 2020
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