GRAZIELLA MELANIA GERACI
Critico d'arte
Una luce che crea e scompone le forme, colori cangianti capaci di trasformare soffici entità in macchie astratte, muffe o improvvise eruzioni, questi i preziosi elementi di un gioco stilistico che Giovanna Benzi applica a paesaggi immaginari, luoghi dell’anima che si rivela. Come Monet, la pittrice sembra analizzare le variazioni cromatiche su uno stesso elemento, le sue nuvole non sono mai identiche a se stesse come non lo sono i covoni dell’impressionista francese, uno studio meticoloso che amplifica le vibrazioni del pulviscolo luminoso e che determina i soggetti e la loro presenza su sfondi grumosi o lucidi. Le aperture sconfinate su questi moderni cieli barocchi aprono finestre a turbinii interiori, lo spazio della tela assume valenze speculari di un repertorio che sembra attingere ad un atavico registro di seicenteschi bagliori veneti. Ma è il taglio quasi fotografico a determinare la contemporaneità della pittura della Benzi, gli estremi verticalismi appaiono come dei sotto insù che valorizzano la prospettiva illusoria e ingigantiscono il fuoco del racconto visivo. Nascosti dietro le nuvole gli astri si svelano coperti da una coltre spessa che lascia trapelare solo un riverbero, i soggetti diventano così contenitori di emozioni, scatole astratte appartenenti ad un universo personale. Talvolta le opere della pittrice milanese definiscono il fluire del tempo in un brulichio vivace che anima e vivacizza la composizione ma che sa assumere toni severi e austeri sul finire di un momento esclusivo e universale. Esplorando le molteplici ricognizioni coloristiche della Benzi si percepisce quanto l’elaborato linguaggio da lei codificato sia l’accesso alla conoscenza di archetipi ancestrali e di memorie ataviche. Tra deboli chiarori e fosche oscurità avanza una realtà ambigua, fatta di prospettive fittizie ed effimere apparenze che aprono un varco alla possibilità della lettura univoca. La materializzazione di pulsioni e istinti inconsci sembrano esorcizzarne la prevaricazione sull’anima che rimane, seppur circondata da livore e opacità, luminosa, pronta ad accogliere lieve la liberazione. I segni si dispiegano sottili come fili che chiudono colore mentre le campiture appaiono opulente e allo stesso tempo liquide, quasi impalpabili nelle trasparenti velature. Le storie di Giovanna Benzi raccontano, attraverso le umbratili e mutevoli nuvole, di un mondo che scorre attraverso lo spazio ma che sembra senza tempo, eterno nel suo fluire e sempre simile a se stesso. Le infinite sfaccettature duplicano e moltiplicano, in una continua articolazione, la costruzione di un ritmo dall’andamento opposto, tra superficialità e profondità, che riesce tuttavia a favorire la creazione dell’opera. Ne segue un rafforzamento del rapporto con il fruitore che ne percepisce la forza centripeta per poi venire catapultato all’origine delle cose, all’astrazione totale, al viaggio verso se stesso in una continua messa in discussione il cui approdo è l’annullamento di riferimenti oggettivi. Le manifestazioni naturali appaiono come persone, come frammenti di vita, come nodi dell’esistenza in un processo di costante trasformazione, sono oggetti e soggetti al cui fascino è impossibile sfuggire.