MARCELLO PALMINTERI
Curatore
Lo studioso di meteorologia troverebbe nell’opera di Giovanna Benzi un curioso inventario fenomenologico su cui stilare previsioni variabili. È verosimile credere che chi per mestiere si occupa di nuvole, tratti una scienza che più delle altre strizza l’occhio alla poesia. Tra gli osservatori di nubi figura di spicco è quella di Luke Howard (farmacista con la passione per la meteorologia) che, nel 1802, classificò per semplificazione le varie forme delle nuvole: Cirrus, Cumulus e Stratus, da cui avrebbero luogo tutte le modificazioni, composte ed intermedie, traendone un saggio “Essay on the modification of clouds”, che si rivelò di preziosissima utilità nella comprensione dei fenomeni atmosferici. Contemplando la mutevolezza delle nuvole, il suo sistema permise alla natura aerea di mantenere il suo fascino, preservando la bellezza del cielo, così come gli aspetti dinamici del suo mistero non scalfiti da un deciso progresso verso la chiarezza e la verità scientifica1. Non a caso il lavoro di Howard ebbe larga eco non solo tra gli studiosi, ma anche fra artisti di ogni ramo: tra questi John Constable (che alle nuvole ha dedicato numerose opere, interpreti di una natura che poteva essere al contempo dolcissima madre e terribile matrigna), Percy Bysshe Shelley (La nuvola, 1820), e Johann Wolfgang Goethe che ad Howard - e alle nuvole - dedicherà più di uno scritto. E se in campo scientifico, da Howard ad oggi molte cose sono cambiate, grazie all’intervento della tecnologia, invariato è rimasto il fascino e l’innamoramento che ci pervade alzando gli occhi al cielo. Lo sa bene Giovanna Benzi che dalle aeree suggestioni trae i soggetti protagonisti dei suoi dipinti. Nascono così opere in cui le nuvole vengono ritratte come sculture mobili, plasmate dai venti: corpi metamorfici la cui ineffabilità contrappunta con l’energia e la violenza di cui sono capaci. Tuttavia le opere di Giovanna Benzi non vivono di tensioni drammatiche, cercano piuttosto spazi di luce mistica, intravista ora tra cieli trasparenti, ora nascosta tra vapori neri come corvi. Visioni che l’artista contempla lungo un iter solitario, fuori dai percorsi tracciati, intenta al recupero di una luminosità inseguita come spiraglio di quiete serena, da offrire a chi ne ha perduto il senso. Questa partecipazione emotiva consente di indirizzare la sua poetica non verso una vacua spettacolarità ma verso una scenografia del colore che apre allo spirito suggestioni di lirica contemplazione, agendo su una coscienza che si articola per strutture complesse: non evasione verso l’incanto ma adesione intima al sentimento, all’angoscia, alla gioia, al dubbio. Così questa pittura sfugge all’accademismo, rivolgendosi non solo alla pupilla ma coinvolgendo lo spettatore nell’addensarsi dei bianchi e dei blu, nello splendore dei gialli e dell’oro, nell’aggrumarsi dei neri, così facendolo smarrire in panorami di desiderio da cui tornare a terra è come cadere in sogno per svegliarsi sul letto, sudati.